Verso il 46° Congresso del Pri/A questo punto Fini sarà costretto a fare la crisi La costituente liberaldemocratica unica alternativa di Widmer Valbonesi Ugo La Malfa bollava con spregio gli intellettuali o presunti tali che, a seconda del giornale che aprivano, esprimevano un pensiero politico: "pensatori giornalieri" era il termine che usava. L’idea di costruire scenari a seconda dei propri bisogni o aspirazioni è presente anche nel PRI, soprattutto in coloro che credono che l’identità di un partito la si conservi o la si sviluppi in funzione di uno schieramento e non in funzione della capacità di leggere l’evoluzione della società e di dare soluzioni ai problemi che emergono. A San Pietro in Vincoli, dove si sono riuniti i nostalgici del governo con la sinistra e i nuovi centristi, di pensatori giornalieri ce n’erano molti se, avendo fatto un’analisi e avendo suggerito una soluzione, il giorno dopo quell’ipotesi era già superata dalla realtà delle dichiarazioni di Fini. I nostri, con Giorgio La Malfa in testa, hanno dichiarato che occorreva uscire dal centrodestra e dare vita ad un centro con Fini, Casini, Rutelli, il Pd, Idv per mandare a casa Berlusconi e fare una nuova legge elettorale. Il ragionamento era questo: "Se Fini lascia il centrodestra, avendolo creato, lo possiamo abbandonare anche noi senza problemi e dare vita ad un nuovo progetto con chi ha la nostra stessa visione dei problemi e concezione democratica". Un consiglio a questi sprovveduti amici: prima di pronunciarsi facendo affidamento sui vari Fini, Casini, etc. è meglio aspettare ciò che dicono, altrimenti si sogna, non si fa analisi politica. Fini non vuole uscire dal centrodestra, vuole un patto di legislatura con dentro anche Casini per condizionare Bossi. Poi getta un po’ di fumo addosso ai creduloni quando fa riferimento a valori liberali e repubblicani, richiamandosi al popolarismo europeo che è ben altra cosa. La Nazione, il patriottismo repubblicano, la solidarietà, il bene comune, l’etica della responsabilità, il patto sociale, i diritti civili snocciolati da uno che fino a poco tempo fa preferiva il nazionalismo alla nazione, le corporazioni all’interesse generale, che oggi difende i diritti degli omosessuali e che vari anni fa affermava che un insegnante gay non può insegnare in una scuola italiana, uno che durante la vicenda Iraq si incontrava con il vice di Saddam, quel Tarek Aziz che è stato condannato a morte, per il quale può valere un senso di pietà per coloro che lo condannavano, non per coloro che lo legittimavano incontrandolo. Oggi Fini appare il campione dell’antiberlusconismo, quando insieme hanno governato per anni e, se Berlusconi sdoganò Fini nel 1993, è pur vero che solo un anno fa Fini legittimava Berlusconi e il Pdl come cardine di un bipartitismo antistorico e antidemocratico, modificando persino la legge elettorale europea, l’unica a proporzionale pura e pluralistica. Prima parafascista, come non ricordare il saluto romano in piazza a Forlì? Poi Alleanza nazionale, il Pdl, oggi il Fli e tutte le volte con toni retorici da vecchio tribuno "Se vuoi costruire una nave, prima di dare gli ordini devi far tornare il desiderio del mare, della scoperta nei territori sconosciuti e vedrai che tutti si metteranno a lavorare per costruire la nave". La stessa frase di Saint-Exupery che usò Veltroni con Prodi; come sono finiti Veltroni e Prodi e il bipartitismo lo vediamo tutti, imploso a destra e a sinistra perché antistorico. Fini non andrà mai al centro o a sinistra, perché il giorno che lo facesse perderebbe il suo elettorato chiaramente di destra; e cerca di portarsi dietro Casini, che da buon democristiano ringrazia per il favore ricevuto. Oggi è l’interlocutore più ambito da destra e sinistra, e il potere d’interdizione lo userà come per le regionali, cioè al miglior offerente. Mentre Fini ha assoluto bisogno di Casini perché, libero di stare al centro, l’Udc rappresenta un partito concorrente per il Fli, con più coerenza e credibilità verso la Chiesa e l’internazionale popolare, e anche con più autonomia verso Berlusconi, visto che Casini nel 2008 ruppe con Berlusconi e Fini, dicendo molte delle cose che oggi ripete Fini, avendo però la responsabilità di avere governato e costruito e poi rotto un partito con Berlusconi. Casini, invece, sa bene che il Cavaliere non solo non si dimetterà, ma, come dice Buttiglione, se ne sta prudente ad aspettare in attesa che chi fa la crisi paghi un prezzo elettorale a lui e alla Lega. Fini si illude che Casini faccia un centro o ceda alle lusinghe di una sinistra che lo eleggerebbe candidato premier destinato alla sconfitta. Lo sa Casini e lo sa Montezemolo, e il destino di Fini allora è uno solo, sperare che il Cavaliere ceda, cosa che non succederà, oppure fare una crisi, assumersene la responsabilità per poi andare in campagna elettorale a cercare voti nell’ambito del centrodestra contro Berlusconi, con cui è obbligato a collaborare anche in futuro. La mia previsione è che l’ultimatum di Fini sia un ennesimo penultimatum, e che l’unica crisi possibile sia un rimpasto senza i finiani per poi chiedere la fiducia al Parlamento. Da un Presidente della Camera speravamo almeno di sentire che i mandati da ministri o sottosegretari si rimettono al Presidente del Consiglio e non al capo del loro partito, e il silenzio del Presidente Napolitano è altrettanto imbarazzante. In definitiva del bluff di Fini si sono accorti tutti, da Berlusconi a Casini, da Di Pietro che per la verità lo diceva da tempo ed è pronto a chiedere la sfiducia per stanare i finiani, dai rottamatori, e persino Bersani è deluso delle tattiche di Fini. Tutti tranne i nostri di San Pietro in Vincoli che con grande lungimiranza e coerenza vogliono l’uscita dal centrodestra per andare verso un centro, che non esiste per rinuncia dei partecipanti, e nello stesso tempo vorrebbero fare le primarie con la sinistra in provincia di Ravenna; e a Cesena fanno le elezioni con la Lega, alternativi alla sinistra, e poi aprono al centrosinistra ricevendo un "no grazie" avvilente. L’unica alternativa è quella della costituente liberal-democratica che è tale perché si riconosce in una cultura che a livello nazionale ed internazionale è terza rispetto a quella socialista e popolare. Il Pri che è fondatore dell’Eldr deve farsi interprete del fallimento del bipolarismo oltre che del bipartitismo, perché le logiche corporative che lo caratterizzano sono contrarie all’interesse generale di un paese che deve unire gli sforzi e fare scelte di riforme coraggiose. La nostra autonomia deriva dal presentare idee e progetti di sviluppo del paese che ne rafforzino l’appartenenza ai paesi moderni dell’Occidente, sviluppando merito, rigore, ricerca e colpendo tutte quelle rendite parassitarie su cui si fonda il consenso elettorale dei due poli, che escludono le zone deboli del paese, i giovani, le donne e i più svantaggiati e meno protetti. L’identità di un partito deriva dalla coerenza con cui persegue obiettivi di riforma e di sviluppo del paese, non dalla sua collocazione di schieramento. Forse occorreranno tempi lunghi, pari a quelli che in Inghilterra e in Germania hanno, dopo alcuni decenni, reso protagoniste del governo le forze liberal-democratiche. Ma esse sono rimaste pure, non si sono fatte "immeticciare" da forze popolari o socialiste. Chi invoca la terza via è nel giusto, ma la terza via non ha confini prestabiliti da schieramenti, ha idee da mettere in campo e uomini decisi a portarli avanti. In Europa, oggi, le forze liberal-democratiche governano con i moderati perché hanno ritenuto le forze moderate più adatte a governare una crisi internazionale e a mettere in atto misure di rigore e di riforma. Questo non vuol dire che noi dobbiamo essere vincolati ad uno schieramento e ad un governo, se quel governo e quello schieramento non affrontano l’interesse del paese, ma non possiamo nemmeno imbarcarci in un’avventura che ci lasci in mezzo al guado e solo in nome dell’antiberlusconismo. Certo, fino a quando la legge elettorale o la nostra forza non ci consente una presenza autonoma, noi possiamo chiedere un diritto di tribuna a chiunque e quando l’otteniamo non garantiamo fedeltà, ma lealtà sì, per le cose che condividiamo. Ci sono alternative? Io vedo un congresso dove i contenuti possono definire una costituente repubblicana e liberal-democratica e dove i giovani possono candidarsi a dirigere una nuova fase, ma non abbiamo nulla da rottamare, soprattutto nei confronti di coloro che hanno salvato la presenza del Pri in una contingenza che non ha salvato nessuno dei protagonisti della Prima Repubblica. Dobbiamo definire coi dirigenti attuali un percorso e un nuovo gruppo dirigente, azzerando il passato e le diaspore e chiamando tutti coloro che non si riconoscono nelle logiche perverse del bipolarismo ad aprire con noi un percorso di speranza e di rinnovamento del PRI e del paese. Chi non se la sente si dedichi ad un altro passatempo e lascino lavorare chi ha voglia di farlo, anche senza avere ricevuto le gratificazioni che molte volte loro hanno avuto. |